Recensione Musica: Jimmy Smith & Eddie Harris - All The Way Live
Ultima Notte a San Francisco: “All The Way Live” segna l’incontro di due padri del jazz di questo secolo Jimmy Smith & Eddie Harris.
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Titolo: | All The Way Live |
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Artista: | Jimmy Smith & Eddie Harris |
Etichetta: | Milestone |
Anno d'uscita: | 1996 |
Genere: | Jazz |
Voto: | 8,5/10 |
La notte dell’ultimo sabato dell’agosto del 1981 a San Francisco deve essere stata sicuramente una notte strana, intima e forse anche un po’ malinconica. Il Keystone Korner è gremito di gente, ma non c’è confusione, solo quel chiacchiericcio di qualche coppia un po’ brilla seduta al tavolo o di qualche anima persa seduta al bancone che cerca di trovare la svolta della vita nell’ultima goccia di bourbon in fondo al bicchiere.
L’atmosfera all’interno del locale sembra ferma almeno a trenta o quaranta anni prima: il fumo di sigaretta e di sigari a buon mercato contrastano con il mondo all’esterno. Fuori la gente sta passando l’ennesima “saturday night fever” in preda a esilaranti momenti di ilarità isterica. D’altronde gli anni ’80 si fanno sentire, sono li, con tutte quelle luci e quei vestiti eccentrici. Ma non al Keystone Korner. Il palco è ancora vuoto, e la gente continua a divertirsi o a fissare il vuoto.
D’un tratto l’angelico suono dell’Hammond B3 comincia a spargersi solitario nel locale, mischiandosi col fumo e con le voci. E’ un suono che si respira. Jimmy Smith inizia lo show e viene immediatamente seguito da Eddie Harris al sax. I due non hanno mai suonato insieme prima e mai lo faranno dopo quella sera. Qualche anima persa già comincia a sentirsi meglio e il barista comincia a versare qualche Manhattan in più. La serata inizia bene, anche perché la band non lascia il pubblico senza musica per i primi undici minuti e mezzo di “You’ll see”.
Per un istante, chiudendo gli occhi, sembra addirittura che Miles Davis si sia unito al gruppo, ma è solo uno scherzo di Eddie che in “A child is born” sostituisce il sax con una tromba muta. Intanto Jimmy vola sul suo Hammond. Kenny Dixon non ci pensa neanche lontanamente a levare le mani dalle spazzole. Il pubblico è ipnotizzato.
Improvvisamente la voce di Jimmy Smith spezza la musica e invita a contare fino a otto nelle pause: inizia “8 counts for Rita”. La gente si comincia a muovere e qualcuno ordina un altro Manhattan. L’euforia sale. Le ragazze cominciano a trascinare un po’ i loro maschietti al centro del locale e tutti contano… 1, 2, 3, 4, 5, 6, 7, 8. D’altronde non è facile resistere a quel funky cosi delicato, ma così trascinante. Non mancano neanche i momenti per i vecchi sentimenti: inizia “Old folks” e qualcuno chiacchera con quello accanto al bancone come se si conoscessero da anni, offrendo da bere senza sapere chi pagherà alla fine. Il barista non è troppo felice. I baristi non sono mai troppo felici. Intanto la serata scorre verso la fine e la band offre il suo ultimo pezzo. Torna il ritmo e Jimmy Smith è concentrato: è il suo “The Sermon”. E’ il loro saluto a una San Francisco che sembra aver perso la via di casa.
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