Recensione film: come mantenere «La giusta distanza»?
In un paesino della provincia veneta, la vita scorre placida e lenta fino a quando non irrompe una maestra cittadina, sensuale e spontanea. La ruota inizia a girare, e le storie si mescolano, con un minimo comun denominatore: per quanti sforzi si facciano
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Titolo: | La giusta distanza |
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Regia: | Carlo Mazzacurati |
Cast: | Giovanni Capovilla, Valentina Lodovini, Ahmed Hefiane |
IMDB: | 66/100 |
Voto: |
Carlo Mazzacurati torna nelle sale con un bel film, diretto e orchestrato con sapienza, ben sceneggiato, asciutto, mai banale pur nei tanti spunti che offre.
Siamo in Veneto, in un paesino di provincia, lontani dallo stress e dal caos cittadino. Contadini, lavoratori, imprenditori, studenti. Al quadro non manca nulla. Anzi, no.
L’imprevisto è rappresentato da Mara (la brava Valentina Lodovini, piena di fascino e volubilità, una piacevole sorpresa), maestra elementare giunta in fretta e furia dalla città per sostiuire la vecchia insegnante, in preda a crisi di follia.
Il soffio di aria nuova che Mara porta in paese avvogle tutti. Pian piano, superato il trauma iniziale, dovuto ai ritmi che cambiano ed al viver sola, inizia a entrare in contatto con i suoi nuovi vicini. Conosce Hassan (Ahmed Hafiene, bravo a non esasperare i toni di un personaggio dalle mille facce), il meccanico, l’uomo di fiducia del paese per i motori, “l’integrato perfetto”, si direbbe. Ecco il tema dell’immigrazione.
Conosce Giovanni (impersonato dal debuttanete Giovanni Capovilla, che di anni ne dimostra di meno dei diciott’anni del perosnaggio, ma lavora come un veterano), ragazzo timido ed introverso, con la passione del giornalismo e del web.
Ecco formato il quadro centrale del ritratto di Mazzacurati, che lascia scoprire le carte del suo disegno poco a poco. Passo dopo passo, entriamo nella psicologia di Mara tramite virtù e vizi dei personaggi della provincia: la sua bellezza ci viene rivelata dalle notti passate da Hassan a spiarla dal bosco tramite le finestre aperte, la sua vita privata mediante la lettura delle sue mail, da parte di Giovanni, che ne ha intuito la password di accesso.
A fianco del nucleo, i comprimari: il ras del paese, il babyboomer impersonato da Giuseppe Battiston, moglie rumena contattata via web, SUV e modi spavaldi; il conducente di autobus, promesso sposo di un’estetista.
E’ la nostra Italia, quella della Provincia, dell’integrazione migliore proprio dove più forte sventola il vessillo leghista; quella della vita calma, della gente che lavora. Mazzacurati argomenta tramite il film che non è tutto come sembra: i pregiudizi restano, anche se sembrano sommersi dall’incedere della quotidianità e della noia, e le relazioni personali, troppo spesso, sono contrassegnate dall’azione del destino e dal mancato tempismo.
E’ meglio lasciare al lettore il desiderio di vedere il film, senza raccontare il punto di svolta. La storia, in fondo, non è così originale dal non poter essere intuita, ma è meritevole di visione proprio per i numerosi spunti accessori che offre. Ad esempio, si tenta di dare una lettura dello stupore dell’opinione pubblica rispetto ai casi di Garlasco o di Erba, o mille altri della tranquilla provincia italiana.
Da rimarcare, infine, la piece di Fabrizio Bentivoglio, direttore di un giornale locale senza pelo sullo stomaco, che istruisce l’apprendista Giovanni sul difficile mestiere del giornalista. Questa la frase simbolo del loro rapporto: “La giusta distanza è quella che un giornalista dovrebbe saper tenere tra sé e la notizia: non troppo lontano da sembrare indifferente, ma nemmeno troppo vicino, perchè l’emozione, a volte, può abbagliare".
E’ qui che Giovanni si accorge che, per le cose che ti pungolano dentro, non c’è distanza che tenga. Per questo che è così difficile essere giornalisti: saper conuigare l’etica deontologica e la necessità di compiere un lavoro obiettivo con l’interesse personale e diretto su un evento che ti interessa: è un bel rompicapo. Forse impossibile da sciogliere.
A volte, però, più che tenere la giusta distanza, se si è davvero convinti della causa che si perseguendo, è bene impegnarsi a fondo. Per far emergere la verità e sentirsi a posto con la coscienza.
Che poi questo rappresenti una scelta complessa e difficile, mi pare perlomeno ovvio e scontato.
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